Ho visto la mostra "Vivian Maier. Una fotografa ritrovata"

Ormai Vivian Maier non è più la sconosciuta bambinaia di Chicago, la sua storia ha fatto ha fatto il giro del mondo e credo che John Maloof abbia ampiamente raggiunto il suo scopo di ritagliargli un posto nell'Olimpo dei grandi Fotografi.
La sua prima mostra a Milano (Galleria Meravigli fino al 31 gennaio 2016) sta avendo un gran seguito, io l'ho vista qualche giorno fa e ne avevo visto anche l'allestimento passando da quelle parti qualche giorno prima, quando appunto arrivarono le casse contenenti le fotografie.

Vivian Maier

La storia di Vivian Maier mi aveva incuriosito molto fin dall'inizio e la segui con interesse, vedendo anche il bel documentario "Alla ricerca di Vivian Maier" curato sempre da Maloof, il fortunato scopritore della fotografa. Le principali fotografie devo dire che mi sono tutte abbastanza note per lo splendido lavoro che stanno facendo con il suo sito e con la sua diffusione, quante però ancora non conosciute o non sviluppate ve ne siano non è dato sapere.
È un po' con questa speranza, cioè di vedere nuove foto oltre quelle del libro e catalogo della mostra stessa, e con la curiosità di vedere le stampe che mi sono recato alla mostra di Milano organizzata dalla Fondazione Forma per la Fotografia.
Dirò subito che le mie aspettative sulle nuove foto sono andate deluse: purtroppo non vi erano lavori non noti, ma in compenso vi erano alcuni spezzoni filmati da lei che personalmente non conoscevo e che denotano quanto attenta all'inquadratura e quanto meticolosamente si dedicasse alla sua attività.
I lavori presenti, per lo più in bianco e nero invece non deludono le aspettative. Le stampe sono mediamente grandi e molto "pulite", fanno apprezzare il senso dell'inquadratura della Maier. Sono sicuramente di grande impatto e la cornice chiara color legno rende l'allestimento essenziale  e ordinato pur mettendo in mostra un numero considerevole di immagini.
Di minore effetto, a mio parere, le fotografie a colori della Maier. Non che non avesse occhio per il colore che anzi riusciva a vederlo molto bene, ma perché forse sono in numero considerevolmente minore e un po' sacrificate nell'allestimento; in fondo ciò che ha reso famosa la Maier è stato quel bianco e nero quadrato della sua Rolleiflex. Il colore, per ora e per la sua storia, lo ascriverei ad una pura sperimentazione.
All'uscita della mostra non conosco meglio Vivian Maier rispetto a quanto sono entrato, quindi catalogherei la mostra più fra gli eventi estetici che ad un evento conoscitivo. In fondo una mostra può farci conoscere meglio un autore oppure mostrare i suoi lavori noti in modo retrospettivo, ed è qui collocherei la mostra di Milano.
Vivian Maier è sicuramente una delle personalità più controverse degli ultimi anni e per quel che conosciamo fino ad ora è stata una grande street photographer, come oggi la definiremmo, la mostra contribuisce a farci apprezzare le sue inquadrature e il suo talento. Osservando le sue foto si rimane colpiti da quanto ella si spingesse verso il soggetto che ritraeva fino al limite della sua sfera personale.
Per quanto non ne sia uscito dalla mostra pienamente soddisfatto per via delle aspettative che mi ero fatto, credo che andrò a rivederla prima del suo termine se non altro per studiare attentamente le sue fotografie.


Ho visto “Henri Cartier-Bresson e gli altri” Italia inside out 2

Dopo la prima mostra dedicata a come i fotografi italiani hanno visto e vedono il nostro Paese, arriva a Milano (Palazzo della Ragione fino al 7 febbraio 2016) anche la seconda mostra dedicata a come i fotografi stranieri, a partire da Bresson, hanno visto l’Italia.

La mostra si snoda attraverso sette temi principali: l’Italia, la fotografia “umanista” e altro, la poesia del bianco e nero, dove l’interpretazione diventa un atto d’amore, la nobile tradizione documentaria, lo sguardo inquieto, lo sguardo positivo e infine autoritratto: le possibilità del “racconto si se”.

Ognuna di queste sette aree tematiche raccoglie l’interpretazione di alcuni dei massimi fotografici stranieri che si sono cimentati con il nostro Paese.

Il viaggio parte, forse in modo un po’ retorico, con Cartier-Bresson, ma al contrario di quanto si potrebbe pensare è solo un’introduzione, una visione dell’Italia degli anni ’30 basata sul suo sguardo geometrico e pronto a cogliere l’attimo. Dopo di lui ecco il susseguirsi incalzante di altri grandi della fotografia mondiale Capa, Seymour, Cuchi White e William Klein con le sue immagini tratte dalla Roma degli anni ’50, tanto per citare i primi che si incontrano lungo il percorso fatto di brevi teche dedicate ai fotografi, in un ambiente scuro che mette in risalto la fotografia e la sua forza.

Ogni autore è accompagnato da un breve commento, sulla sua visione o sulla sua tecnica che arricchisce ed incuriosisce. Ad esempio, Klein ci racconta che per lui la città è stata sempre una ricorrente ossessione ed ha cercato il ritmo nelle strade e nei segni, nelle smorfie di chi passava di fronte al suo obiettivo. Con Herbert List apprendiamo che

“non esiste alcuna “ricetta” per i fotografi. Un’opera d’arte può nascere tanto da un’accurata progettazione quanto da una fugace intuizione. Come il buon pittore non tenta di ricreare sulla tela con il suo pennello una riproduzione fotografica, alla stessa stregua il buon fotografo non deve “dipingere” con la propria macchina”.

Man mano che ci addentriamo in questo viaggio attraverso il dedalo scuro del filo conduttore della mostra il bianco e nero viene affiancato dalla sperimentazione e non solo dall’uso del colore. Colpisce ad esempio l’opera di Hiroyuki Masuyama che ricostruisce con le esposizioni multiple la Venezia dipinta da William Turner e l’opera di Abelardo Morell che utilizza il metodo della “Camera Obscura” con cui unisce interni ed esterni.

Al fianco di un’Italia vista con l’occhio del documentarista e con l’occhio dello sperimentatore, troviamo anche il paesaggio delle montagne di Alex Hütte, ma, ci suggerisce la didascalia,

“La fotografia di paesaggio non deve sembrare una cartolina” ha stabilito una volta, con laconica sintesi, Stephen Shore, “essa dunque deve evitare l’ingenuità di una veduta concentrata su stimoli superficiali: il suo obiettivo deve essere non la riproduzione unidimensionale di qualcosa di apparentemente straordinario, ma un’immagine che arriva fino agli strati più profondi, che è in grado di accogliere in se ambiguità e contraddizioni.

Sono queste le maestose montagne di Hütte.

Alla fine della mostra avremo contato 36 autori che, ognuno con il suo linguaggio, ci hanno portato a spasso per l’Italia attraverso la storia e le contraddizioni moderne. Non è una personale per ogni autore e quindi le foto presenti non saranno mai in numero elevato per ogni singolo autore ma in numero consistente a mostrare l’interpretazione data al nostro Paese da quel fotografo.

Dopo la prima mostra sui fotografi italiani, le mie aspettative erano alte per questo secondo capitolo e non sono andate deluse. Se ne esce arricchiti visivamente se si ha la pazienza di guardare con attenzione e indagare la ricerca che è stata fatta dagli autori al di là della semplice fotografia.

Vita da Palio: Giorni da Fantino

L'Italia è stato il Paese dei Comuni e delle Signorie, è stata testimone di uno splendido periodo che ha visto la rinascita delle arti e delle lettere che è seguito al Medioevo e che oggi chiamiamo Rinascimento.

Se c'è in Italia un evento che testimonia ancora quel periodo di signorie locali e di identità comunali questo è il Palio; non solo quello famosissimo di Siena ma anche tutti i palii e le rievocazioni sparsi per la penisola che sono testimonianza ancora oggi di culture locali. Sarebbe impossibile poterli menzionare tutti ed ognuno ha una sua peculiarità. Il Palio ha le sue regole, e i cittadini per un giorno non sono più gli abitanti di quella città ma i contradaioli di un solo quartiere che si riuniscono attorno ai lori colori.

Nella provincia di Novara c'è un Palio abbastanza giovane tuttavia, codificato solo nel 1947 e riguarda una corsa ma non di cavalli, come molti palii in giro per l'Italia, ma di asini: il Palio di Cameri, piccola cittadina vicino Novara.

Se il cavallo in un palio esprime il sentimento di forza e velocità, l'asino esprime quasi un sentimento goliardico e di tenerezza, si fa fatica a pensare ad una corsa competitiva come quella di Siena. Inoltre, se possiamo dire che del Palio di Siena conosciamo ed abbiamo visto moltissimo, di questo piccolo Palio degli asini non esiste una vasta documentazione iconografica ed è anche per questa ragione che un giovane fotografo locale, Stefano Strazzacappa, ha sentito il bisogno e la necessità di raccontarlo e raccontarcelo.

La mostra delle foto che Stefano ha scattato in occasione del Palio del 2014 a Cameri, ed oggi esposte presso la bellissima chiesa barocca di Santa Maria a Cameri fino al 20 settembre, sono l'occasione per farci vivere i momenti che precedono il Palio stesso. Con occhio sapiente ha voluto raccontare una storia umana dove l'amore per l'animale e la passione accompagnano la vita dei fantini e degli asini fin quasi a fondersi in un unicum dove uomo e animale sono un'unica identità: non a caso il titolo data alla mostra è "Giorni da Fantino".

Il fotografo ci mostra una storia che trascende il sentimento contradaiolo, egli si è soffermato su una storia universale, tipica di ogni contrada ed anche a questo si può ascrivere l'ottima scelta del bianco e nero dove i colori non sono più riconoscibili e rimane solo il messaggio stesso della Fotografia.

Come lui stesso indica, nel bel catalogo che accompagna la mostra,

"Queste fotografie sono un omaggio a tutte le persone che si impegnano a mantenere questa tradizione affinché continui ad emozionare una società che non ha più tanto tempo".

La mostra occupa una intera parete presso la Chiesa Santa Maria e vi sono un numero ragguardevole di foto a testimonianza del lavoro minuzioso che è stato svolto: è stata per me, che l'ho visitata ieri sera, una bella scoperta.