Shashon

Piazza Fontana, Milano novembre 2007

Non era ancora inverno eppure il freddo era già intenso e pungente. La prima neve aveva coperto le cime delle montagne e l'autunno sembrava aver ceduto il passo al generale inverno senza troppo combattere. Quella mattina di novembre avevo qualche ora libera e decisi di provare una mia nuova lente per la Leica R7, un 60 f/2.8 macro. Me ne andai in giro per il centro di Milano, avevo caricato la R7 con un Kodak TMax 400 ma non avevo preso i guanti e già rimpiangevo la mia dimenticanza.
Girai intorno al Duomo e scattai qualche foto, per la verità non sapevo cosa cercare ne cosa avrei trovato. La gente mi passava davanti velocemente avvolta in giacche e cappotti che spesso facevi fatica a distinguere chi si celasse dietro tutta quell'imbottitura. Solo qualche suonatore di sax e qualche mendicamte sfidavano il freddo rimanendo fermi in un solo posto.
Non ero molto soddisfatto delle foto fatte, così decisi di sfidare il gelo che mi stava atrofizzando la mano destra con cui sorreggevo la fotocamera. Andai verso Piazza Fontana, del resto di lì a poco sarebbe stato il triste anniversario della strage e speravo di catturare qualche foto un minimo interessante anche se il mio primo scopo era solo quello di testare il nuovo obiettivo acquistato usato qualche giorno prima.

La piazza era pressoché deserta e la fontana al centro non aveva molta acqua, solo pochi passanti si vedevano nei dintorni. Ma il mio sguardo cadde su una signora di colore che, unica, sedeva su una panchina. Aveva lo sguardo dritto e leggermente assente ed in braccio reggeva un bambino molto piccolo avvolto in una coperta e sembravano volersi scaldare a vicenda. Lei aveva un cappotto troppo leggero per quel freddo pungente ma il bambino sembrava riscaldato in quel fascio di coperte ed infatti non piangeva ed era vispo con dei grandi occhi che sembravano voler scrutare il mondo da una posizione privilegiata. Mi avvicinai lentamente ma abbassando la macchina fotografica per non intimorirli. La donna aveva il viso scavato ma una luce brillante negli occhi. Le chiesi se il bambino avesse freddo e la donna mi rispose che lui non ne aveva perché era ben coperto. Parlava con una voce bassa e lenta che stentavo a comprendere. Le chiesi cose facesse lì con quel freddo e mi disse che attendeva l'apertura dell'Arcidiocesi proprio di fronte a lei e che ogni mattina andava lì a chiedere qualche pezzo di pane o qualche cosa da mangiare. Aveva lo sguardo fiero e nulla chiedeva più di quanto avrebbe ricevuto di lì a poco. Il bimbo, aggomitolato sul suo grembo, scrutava con i suoi grandi occhioni e sembrava essere felice fra le braccia della mamma.
Gli chiesi come si chiamasse il bambino e la donna mi rispose Shashon, quindi prima di andarmene le chiesi se avessi potuto scattare a loro qualche foto e la signora acconsentì. Mi abbassai proprio davanti a loro ed avendo un obiettivo macro stetti molto vicino, misi a fuoco lentamente avendo ancora la mano gelata e scattai due foto, una orizzontale ed una verticale. La salutai e promisi di portarglene una copia.

Qualche giorno dopo sviluppai il rullino e stampai le due foto, mi sembravano buone e ne feci una seconda copia da regalare alla signora. Passai diverse volte per quella piazza nella speranza di incontrarla e molte altre foto scattai lì intorno, ma non incontrai mai più Shashon e sua madre.

Natalia e Natalia

Parco, Novara 8 dicembre 2013

La giornata era stata caratterizzata da una fitta nebbia e un freddo umido che ti entrava nelle ossa, una tipica domenica di festa tardo autunnale da passare vicino al caminetto.
Non avendo un caminetto in casa e reduce da un pranzo pesante con amici decisi di uscire per fare due passi e scattare ancora qualche foto con la vecchia Rolleiflex armata con rullino 6x6 a 400 iso, vista anche la perfetta giornata per fotografie d'atmosfera.
Senza troppi indugi mi sono diretto verso il parco cittadino dove avrei incontrato un amico che mi avrebbe fatto compagnia nella breve passeggiata.

Iniziai col fare alcune prove con la macchina fotografica e testarne l'esposimetro: giusto qualche scorcio da catturare in bianco e nero. Ci incamminammo parlando del più e del meno verso il lungo vialone alberato che, data la stagione avanzata, mostrava solo poche foglie sopra i rami e si apprestava a diventare un viale di alberi spogli e spettrali in una nebbia che iniziava a calare inesorabilmente. Alla fine del viale e prima del grande monumento che si erge al centro di una piazzetta circolare, decidemmo di prendere la via più interna e cercare ancora qualche scorcio interessante. Proprio sull'ultima panchina sedevano due signore intente a parlare e bere qualche cosa da un grosso termos che avevano con loro. Si trattava quasi sicuramente di due immigrate ucraine che svolgono in Italia diversi lavori fra cui l'attività di badanti ad anziani e malati.
Le superammo senza curarci troppo di loro e svoltammo alle loro spalle per rientrare verso il monumento centrale. Appena le superai tuttavia la scena mi parve subito interessante: il parco e le panchine piene di foglie, queste due signore intente nei loro discorsi e le loro biciclette appoggiate sul retro della panchina che ora vedevo di fronte a me.

Mi allontanai di qualche passo e piazzai il cavalletto facendo un paio di scatti da lontano, forse da troppo lontano. Mi avvicinai ancora un po, non avevo intenzione di riprendere la signore in modo molto riconoscibile ma solo rendere la scena e l'atmosfera tardo autunnale. Tuttavia sapevo anche di non doverle spaventare dal momento che potevano essere giustamente timorose verso chi senza motivo le avrebbe fotografate. Così andai da loro e gli chiesi il permesso di riprendere la scena. La signora che ora era in piedi e con capelli castani ed un grazioso cappello in testa mi chiese perché avrei voluto fotografare ed io con un sorriso dissi che era per un puro spirito artistico vista la giornata perfetta con la nebbia e la graziosa scena che avevano involontariamente creato davanti ai miei occhi. La signora continuava ad essere un po perplessa e diffidente ma la sua amica, più anziana e con lunghi capelli bianchi che un tempo dovevano essere biondissimi e con due occhi di un blu cobalto profondi, assecondò il mio fine e spiegò all'amica come l'atmosfera era effettivamente molto fotografica e forse artistica. 

Avuto così il loro consenso tornai dietro il pozzetto della mia reflex e scattai tre foto a forcella per esser certo di catturare la scena. Appena terminato mi avvicinai nuovamente alle signore per ringraziarle ed iniziai vagamente un dialogo sulle fotografie, gli chiesi se per caso erano ucraine e mi risposero affermativamente e che il loro accento le indicava come provenienti da quel Paese che ora viveva un periodo particolare. Infatti mi ricordai di aver letto in settimana sui giornali del fallimento del movimento popolare per indurre il governo ucraino a presentare domanda d'ammissione all'Unione Europea. Le signore trovarono interessante che conoscessi le vicende interne del loro Paese e si disposero di più per parlare. Si presentarono come Natalia e Natalia: avevano entrambe lo stesso nome.

Erano sicuramente molto colte soprattutto la signora più anziana che mi diceva di come loro speravano in questa possibilità per poter entrare nella UE da molto tempo. La più giovane delle due Natalie mi ricordò che il Piano Marshall aiutò l'Italia nel dopoguerra e che noi eravamo figli di quelle scelte politiche degli stati vincitori della seconda guerra mondiale cosa che loro ucraini non avevano avuto a causa del potere russo. Citò l'evento di Volvograd o Stalingrad come momento di svolta per il mondo intero contro i nazisti ma nulla gli fu riconosciuto. Ammisi che la battaglia di Stalingrado fu un evento importante per tutti i russi, al che mi corresse dicendo: "Per tutti i popoli dell'Unione Sovietica". Ribadiva così la volontà forte di nazione e non solo di identificazione con la Russia vista per lo più come giogo.

Infine mi illustrarono brevemente il loro modo di ritrovarsi in un parco per mangiare o bere qualche cosa in compagnia e che spesso gli italiani non capiscono.
Quando le salutai mi sentii un pò in colpa perché capivo che una chiacchierata fra persone di culture diverse: vengono viste solo come extracomunitari dedite a lavori non qualificati. Credo che avremmo parlato ancora a lungo se non avessi dovuto riprender la strada verso casa. Ci salutammo auspicando che in un'altra occasione che il caso avesse voluto regalarci avrei fatto qualche altra foto.