Ho visto la mostra "Walter Bonatti: Fotografie dai grandi spazi"

Finalmente sono riuscito a vedere la mostra "Walter Bonatti: fotografie dai grandi spazi" (al Palazzo della Ragione di Milano fino all'8 marzo, salvo proroghe). Conoscevo Walter Bonatti più come mito che come fotografo anche perché lui stesso, ho appreso nella mostra, non si considerava un fotografo.

Walter ha avuto la fortuna di vivere veramente due vite, prima come scalatore e poi come avventuriero solitario e questo lo ha portato negli angoli più remoti del pianeta dove appunto scattava le sue fotografie; fotografie, come dice il titolo stesso della mostra, dai grandi spazi perché quelli che ritraeva erano veramente spazi immensi. L'autoritratto ambientato era spesso una costante delle sue fotografie che erano più un diario fotografico che non una volontà esplicita di rappresentazione del luogo.

Per Bonatti la fotografia era nata come una necessità, in quanto lui fotografava le montagne che aveva intenzione di scalare per meglio studiarle. Più tardi si rese conto che le sue fotografie erano diventate anche un momento di ricordo e di immagine fermata nel tempo. Lui sentiva una certa repulsione per il virtuosismo fotografico, ma il suo stile derivava dal punto di vista soggettivo del suo suo animo. I suoi maestri non furono grandi fotografi ma piuttosto Hemingway, Jack London, Defoe e Melville.

Rio Maranon, Perù. Ottobre 1967

Il pubblico si immedesimò subito nelle sue fotografie e nei suoi racconti. Esse mostravano sempre un punto di vista soggettivo che includeva l'autore stesso. Le realizzava servendosi di comandi a filo o radiocomandi.

I pannelli della mostra sono di varie dimensioni, alcuni enormi che rendono benissimo l'idea degli spazi che il fotografo-viaggiatore affrontava. Ovviamente tutte le stampe derivano da scatti a colore (non saprei dire se pellicola negativa o diapositiva) lontani dalla nostra concezione digitale di estremamente dettagliato, sono piuttosto morbide ma hanno una pastosità di colori ed una ricchezza di toni veramente senza parole. I pannelli esplicativi informavano che "Bonatti riesce a cogliere la sua stessa fatica, la gioia per una scoperta, così come le geometrie e le vastità della natura che andava esplorando" e non si può non esser d'accordo.

E' stato curioso ascoltare involontariamente il commento di due ragazze che visitavano la mostra e si meravigliavano della estrema tridimensionalità delle immagini: in un mondo dominato da immagini elettroniche, si rimane veramente estasiati davanti alle immagini di questi enormi spazi.